together we’re invicible

Tengo 11 años, tengo 15 años, tengo 18 años, tengo 22 años. Tengo 28 años y todavía tengo todos los demás. Cada cuatro años un ciclo y este último no me ha gustado.

Smetti di scrivere se vuoi vivere, smetti di leggere se vuoi dormire. Smetti di sognare se vuoi avere una vita reale. Eppure il 60 % della mia sostanza è incoscia, eppure tutti i miei ricordi, sogni ed incubi sono interferenze nel mio presente, così tangibili, così reali e così dolorosi come prima. La verità è che non ho mai voluto togliermi di dosso tutti questi traumi, perchè il dolore era anche un sentimento così penetrante e cosi forte che l’ho cercato persino quando sprofondavo, per cercare di sentire qualcosa.

E se dicessi che la mia missione nel mondo era amare, era perchè sarebbe stato implicito anche soffrire, l’altra parte della medaglia, non capita da chi non si spiega come è possibile la mia situazione. Come è possibile il non riuscire a dimenticare le promesse fate a 16 anni, promesse mantenute nel tempo.

Non ho potuto amazzare le fasi pasate della mia vita, perchè le proteggo come una candela in mezzo al buio. Perchè credevo che loro mi avrebbero dato la forza per continuare, e loro sono invece quelle che mi bloccano.

La mia psicologa mi cura dicendomi di scrivere, e ci ho messo così tanto a correre velocemente per non farmi acchiappare dai miei traumi… Ora ,mi sono fermata e mi sono girata per guardarli in faccia. È così doloroso.

Primo livello, completato, Secondo livello, una scatola di Pandora che non avrei mai voluto aprire, un trauma che ho sempre conosciuto e riconosciuto come tale. Secondo livello, il formamentis della mia personalità. e della mia debolezza. L’acettare, sopratutto e sopratutti, di essere molestata, di essere buttata per terra, solo per essere amata. Un amore così grande che non è stato dimenticato, un sentimento al cui mi agrapo con unghie e denti e che si mostra davanti a me più vero di qualsiasi realtà ordinaria. Come chiudere di nuovo gli occhi per tornare al sogno che facevi prima di svegliarti. Rimpiangere un passato perduto per il resto della tua vita.

Se la tua vita durassi 40 anni… se la mia vita durassi 40 anni, non proverei più a disintossicarmi dalla mia droga. Andrei a cercarla e me la godrei fino in fondo. Mi costruirei il mio mondo di fantasia, e ci rimarrei lì. Meglio viviere nell’imaginazione colorata che in un mondo griggio. Sicuramente questa risposta non l’avrei dato qualche settimana fa, preocupata como era di rimanere con i piedi per terra. Ma io non appartengo a questo mondo tanto quanto al mondo della mia mente. Dove gli amori continuano e non sei ferita, solo sei ferita per amare con più forza. Un sogno dentro di un sogno. Tornerei a creare una vita diffusa, con i bordi permeabili, guardando verso el cielo e vivendo verso il basso. Prenderei un aereo e mi presenterei ovunque il mio primo amore fosse, proverei a parlarci, tanto la mia vita durerà solo dieci anni in più. Non avrei il rimpianto di una cosa inconclusa, di una montagna russa spezzata in mezzo alla discesa. Recupererei le mie amiche quando ancora non ero una delusione per loro ne loro una ipocresia per me. Mi obbligherei a tornare indietro di dieci anni, e se quella vita non mi appartenesse di più, andrei a cercare una droga di quelle vere, di quelle alucinoggene, oppure mi butterei dalla finestra.
Quello che farei, se la mia vita durassi soltanto 40 anni, sarebbe smettere di lavorare, smettere di proietare, smettere di preoccuparmi per gli orari, le ore di sonno, il numero di dolci, i km caminati, la salute della mia testa.

Metterei la musica a tutto volume, farei gli incantesimi, con il mio superpotere di provocarmi stati di animo con una fotografia o una canzone.

Smetterei di cercare di essere una persona normale. Darei alla mia malattia tutto lo spazio abitabile, la farei impossessarsi dal mio corpo. Seguirei questo istinto. Ricorderei le parole di mia zia Linda, dicendomi di non essere sbagliata. Sarei una buona influenza per qualcuno, sorriderei alla gente per strada, e non mi importerebbe di sembrare troppo pazza, troppo intentsa, troppo sognatrice, troppo esagerata. Sarei esagerata, goderei i miei pasti come se fosse al ristorante stellato, farei i viaggi e rimarrei senza un soldo, farei tutte le mie esperienze, mi porterei in viaggio tutte le persone che sono state importanti per me. Inizierei a non dormire la notte. Farei della mia insomnia parte della mia identità, finchè non mi importassi più e i miei cicli circadiani si metessero a posto. Mi sarei giá operata la vista, andrei in una spiagga nudista. Passerei un anno intero in Latinoamerica, un altro in Australia. Parlerei con tutti gli stranieri o persone di altri paesi, tornerei a scrivere e a leggere e a immaginare altri mondi e confondere quei mondi con la realtá, non mi importerebbe più la conseguenza di stato di animo di una canzone, vorrei vivere nel pasato, nel presente e nel futuro contemporaneamente. Mi dichiarerei felicemente ingorante a quelli che aspettano qualcosa di te. Andrei a tutti i concerti dei KISS fino alla fine, andrei ai concerti di Muse y di RHCP con il mio ex fidanzato, che da persona manipolatrice potrebbe continuarmi a manipolare, ma in una misura molto più piccola perchè sarei forte, libera, pazza, e con un piede nel aldilà e un altro nel mondo della mente. E questo sarebbe fantastico, perchè sarei felice con quello che tutti mi avrebbero vietati.

E sicuramente, così, non avrei più muco nella gola, perchè non mi dedicherei a mangiare cose che mi danno allergia ma mi fanno sentire felice. Neanche avrei il colon irritabile, perchè accettare e accentuare la mia malattia mi creerebbe una sensazione di benessere, e mi sentirei volare. E quando, tal volta, mi sentisse persa e senza consolazione, in una ruota che gira senza che io la guidi, mi metterei a dormire con la vita che ho adesso, per recuperare un pò di ripetizione e sicurezza. Non perderei a nessuno, perchè non ci sarebbe una scelta da fare. Tutti farebbero parte della mia vita come lo fanno nella mia testa.

La lunática y sus grupos sanguíneos

La mia vita scorre come un fiume
dopo aver guidato fra le curve siamo arrivati al lago
abbiamo buttato le nostre preocupazione, galeggiano e nuotano con le trote
ancora non è stato suficente

Ora ti travesti di persona triste, di persona ingrata, di persone con il cuore legato alle caviglie, preso a calci dalla vita e dai miei piedi. Ora ti vedi guardando il mondo dalla finestra, come le signore nelle case del dicianovesimo secolo. Guardando il pezzo piccolo di mondo che ti è stato dato.

È un mondo troppo piccolo, è facile sentirsi sicura e disperata allo stesso tempo. è facile che vengano i tuoi ricordi a visitarti, i tuoi fantasmi, la tua camicia a quadretti. è inutile che tu cerchi di spazzarli come la polvere degli angoli. È inutile ricostruire un mondo che non esiste piú.

Stiamo parlando del materiale del tetto quando ancora non ho comprato la terra per costruire la mia casa. Potrei eliminare qualche porta, qualche finestra. Non posso eliminare i muri portanti. Non posso sentirmi sbagliata se piango a dirroto per aver perso qualcosa. La verità, non ho perso molto, ma ho guadagnato.

Ho guadagnato le parole che non so più congiugare, alle quali non posso mettere fine perchè si muovono costantemente tra la massa cerebrale. Le parole non servono niente, solo gli atti, ma queste parole mi tengono vestita.

Non voglio fare più la scrittrice, non ricordo più come si scrive. Voglio smettere di addobbare il mio albero di natale finto, di abbellire qualcosa che non si è ancora creato. Vorrei tornare allo esenziale. Pensare e scrivere mi sta facendo male.

La cabra y la encina ahora debería llamarse la loca y el pino, la triste y el mar, la lunática y sus grupos sanguíneos.

Las historias

En el momento de crisis le había dado una experiencia completamente nueva, un poco de mi energía se quedó en el viaje a Croacia y al final de todo, después de perder el interés, hizo las maletas y se fue a otra ciudad, quitándose el miedo, con todo lo que nuestra historia le había dado

Pero también había alguien que bajaba las persianas y no quería ver la luz, con un matrimonio a la espalda y sin digerir la noticia de no poder tener hijos, y todo esto acabó con un infinito igual al mío, pero más grande, por si las dudas.

Y aún otra vez, una persona que se fumaba las clases y los cigarrillos, que vagabundeaba por la puerta de la facultad, dejó de ser el paria de su familia a ganar becas internacionales, cum laude en la universidad. Esa persona se quedó con mis rasgos de loca o loba, no me acuerdo.

Después, la herida más profunda, más abierta, que me desvela por las noches o me hace soñarle, tenía la barba de tres días como si hubieran pasado meses, y ahí me perdí yo misma antes de saber quien era. Lo que le dí, supuestamente, fue un gran amor.

La última parada, el ¿qué quiero hacer con mi vida? o «esto aquí no tiene sentido» desbordado al instante, por un día corriendo por el bosque, corriendo con el coche, corriendo hacia la playa. Esta persona se ha quedado mi futuro.

Como una hermanita de la caridad, he salvado los momentos de la gente que me esperaba. No me considero superior, pero estuve en las crisis de los otros. Ahora sueño con alguien pelirrojo, en un bosque de castaños, que me revuelve la cabeza y la vida, que me pone todo patas arriba y me da la historia que yo regalé a los otros. Esa persona me ayuda y me dice «aquí está tu vida» mientras yo deseo solamente vagabundear y perderme como lo hice tantas veces en el pasado.

Soy una persona invisible que sólo se ve en el espejo de los otros. Los otros me construyen o me destruyen, según el día y la noche que yo tenga. Añoro tantas cosas de mi pasado que no soy capaz de ver el futuro.

Pero este bosque de castaños es diferente. No es la envidia de instagram, ni algo que empiezo y deja de interesarme pronto, como siempre. Esta persona imaginaria, este lugar, es mi casa. Una de las vidas pasadas que se representa. Una fuerza interior que no sé ni de dónde viene. Una persona que es, sin necesidad de los otros que lo digan. Alguien que, por desgracia, sigue poniendo el amor como prioridad absoluta de su vida. Pero alguien que también es capaz de construir una casa de madera.

He cambiado las vidas de los otros, y no soy capaz de cambiar la mía.

Historia de unas mudanzas

Perder los calcetines no es el único problema de una mudanza.

La realidad es siempre más tosca, urgente, visceral y sucia.

Puedes acabar rompiendo los cristales de un mueble o las relaciones, porque pone a prueba la calidad del mobiliario y las relaciones. O puede ser que de todo esto se salga diferente, y uno salga zen, fortalecido, y con los bíceps de un culturista.

El tiempo de las mudanzas se estira como un chicle, pasan cinco semanas y te parece que ni siquiera has llegado a la mitad de lo que tenías que hacer, te planteas el cambio de casa por cámper, piensas en todo lo minimalista que decías que eras, pero no eres capaz de tirar cosas viejas solo porque conservan el olor del pasado.

Y sin embargo, para todo hay un punto final, también para las mudanzas.

Igual que ahora te das cuenta de que es junio, y justo el junio de hace un año entraste en un vórtice del que pensabas no ibas a salir nunca, y ahora te ves en el espejo con todo lo que habías perdido, sin querer volver a ese lugar. Si ese lugar existiera, sería una estación de metro abandonada llena de yonquis a las cinco de la mañana.

Pero en realidad estamos hablando de la mudanza. No de las que haces dentro, saludando con la mano a la Torquemada de hace uno, dos, cinco, o diez años. Llevándolas dentro pero no siendo ellas nunca más.

Hablamos de las mudanzas de cambiar tus bártulos, las vistas de tu balcón, tu balcón. El supermercado y los vecinos del ascensor. Es querer matar a toda tu familia política, especialmente a tu pareja. Es verte poniendo otra dirección a tu documento de residencia. Escribiendo, al lado, con lápìz, «casa» y que no sea algo extraño.

Mirar en los cajones, ver tus nuevos cubiertos. Usmear y pensar en situaciones futuras: Aquí estaré las tardes de lluvia con un libro, aquí pondré todos mis libros y cuadernos.

La mudanza llega cuando tenía que llegar. Para mí y para Stefano.

Para él, como una de las medallas que se pone entrando en su mediana edad, hombre adulto, hombre afirmado, hombre con cosas.

Para mí, como mi casa en mi casa. Como un lugar para no sentirme extraña. Como quien cambia el pelo en las estaciones, la cara através de los años, quien eras y quien vas a ser.

Voy a abrir una papelería

Estoy tecorriendo poco a poco todo mi pasado.

El mundo está en pausa y mi cabeza va a demasiada velocidad, ralentarla es cuestión de tiempo, de hacer las paces con todo lo que me llevó hasta aquí.

Antes me hacía ilusión ese cambio improviso de tiendas, donde habia una taberna se ponia un bistrot, un franchising por cada mercería sin clientes. Pero ahora me estresa, voy caminando por la calle, hagos los recorridos de mis 12, 14 y 16 años, y me veo parada ante la tienda de regalos a poco precio, en las últimas papelerías resistentes, con olor a cuadernos y bolis.

Podría decir que hago las paces con la niña que fui porque aún la entiendo. Comprendo su táctica de supervivencia, las caídas en los errores solo por cubrir las necesidades que otros no eran capaces de colmar. Un comic por cada amigo que faltaba, un kiosko por cada palabra malsonante, una bañera para soñar otras vidas.

Y la literatura, la sensibilidad,el caos, y las tiendas que aún hoy están abiertas, me permiten ver dentro de la panadería de las empanadas, el chino de los fideos, la libreria de los boligrafos que definían tu estatus social. Las recorro y mando mensajes a la niña. La perdono, la justifico. Al mismo tiempo, me despido de sus fantasmas, lucho contra el masoquismo de recordar demasiado el pasado como si fuera sagrado. Intento hacer pasar todo eso por mi mente como si fuera una espectadora, sin tocarme. Aparecen y se van porque la que queda ahora es otra.

Porque la que está es presente. Porque yo me he ido a otros cielos. La niña interior va estar dentro de mi siempre, pero no va a definirme. Ella ahora descansa, duerme, se relaja, crece. Ella ya no pone punto, no determina mi vida actual, me permite cambiar.

Intento ser una persona mejor, acepto todo lo que me ha llevado hasta aqui, lo comprendo, pero eso no me limita.

Tengo muchas posibilidades y cada una es una tienda que cambia de dueño. Ahora no hago duelos ni aniversarios de rupturas, ahora no tiene importancia. No condiciona mi presente, estoy a caballo del futuro.

El clavo (II)

El clavo (II)

Puede ser una señal, y casi te deslumbra.
En el dolor, no obstante, el abrazo es más rápido que un cepo.

 

Te he dejado dormir tres horas, y de vez en cuando iba a mirarte descansando, como un niño tranquilo y pequeño, sin ninguna preocupación por la cabeza. Cuando te has despertado, he inspeccionado tu cara en todos sus detalles, tratando de saber si este flaco favor de siesta larga te habría devuelto todos los años de vida que te he quitado a base de disgustos.

Cuando hablamos de una persona que esta mal, empezamos a analizar las características de la enfermedad, ya sea leve o grave, real o ficticia. Tomamos el pulso a la gravedad del asunto, intentando medir su importancia a través de los daños colaterales que crea. Ponemos la vida del paciente patas arriba. Intentamos mirar los síntomas desde puntos de vista freudianos, atribuimos la ausencia de proteínas a la sensación de total abandono. En todo este proceso, el paciente está solo. No porque no haya médicos, profesionales, familiares y novios que no beban los vientos por el paciente, que no intenten dar una mano allí donde sus posibilidades les permitan. El paciente está solo porque la burbuja de la enfermedad es grande, tiene los bordes espesos como el cristal de las gafas con demasiada miopía. Desde allí dentro, uno no es capaz de escuchar los gritos de auxilio del uno, los sentimientos amorosos de los otros.

Se crea una barrera en las enfermedades que no se ven.

Son enfermedades que atacan la médula ósea, el cerebro, la atención y la capacidad de reconocerse en el espejo. El paciente se siente otro y ese otro no es si no la figura esperpéntica reflejada en los espejos del callejón del gato. Y de todo esto no podemos dejar constancia, trazo, descripción que pueda dar una visión objetiva, un informe y una receta.

No voy a divagar de la vida, de las luces y de los claros. A veces, el paciente no es capaz de ver ni lo uno ni lo otro. A veces el paciente no ve nada más, porque el paciente tiende a ser egoísta, como característica de su enfermedad solitaria de la que es portador.

Por eso el paciente no está al tanto de los muertos o víctimas que deja por el camino, y que hace marchitar con su aliento viciado de pensamientos circulares. Los demás, las víctimas son esos que rodean al paciente, de manera atolondrada, sin saber cuáles son las palabras, los gestos, los momentos más adecuados para hablar. Las opiniones aceptadas y las inadmisibles, las teorías descabelladas y aquellas desesperadas. Los que pierden el sueño y la vida sin saber por qué o cómo han podido aunque sea de manera periférica provocar o dejar que eso le pasara al paciente. Cómo se llegó hasta ese punto. Cómo ocurrió.

Es inútil dar vueltas al parte meteorológico porque comprobar el tiempo cada dos días no impedirá que llueva el día que menos lo deseas. Es inútil empecinarse al por qué , al cómo, a las estrategias innovativas que sostendrán tu delicado equilibrio entre el pensamiento razonable y la sospecha de una enfermedad incurable. Es inútil hacerlo porque no lo hacían nuestros antepasados, no lo hacían aquellos que venían delante. Todos los que lo hicieron tuvieron la misma amarga fortuna de Anna Karenina.

El paciente rompe la burbuja de su dolencia para mirar las caras ajadas y descompuestas de los que han perdido el sueño con ellos. El paciente quiere darles de nuevo el color a las mejillas, la vitalidad que él mismo se chupa para intentar salir del hoyo. El paciente sabe que no escaparán despavoridos, que solo pocos conocen las consecuencias de taponar una fuga de agua con la mano. Pero, afortunadamente, el paciente no está dispuesto a destrozar más vidas que la suya. Y ese pensamiento puede ayudar al paciente a recoger sus bártulos, ponerlos en una habitación, hacer la magia del orden y tirar el 90 por ciento de vida que no sirve, y volver a empezar de cero, desde lo básico, aprendiendo a dormir, a comer, a vivir.

Aprendiendo a disfrutar del mejor día de su vida en los últimos siete meses, cuando ha tocado el fondo, y entonces se deja llevar y ve cómo es posible volver a vivir.

 

Para el amor de mi vida,
che conosce tutto e mi ama ancora.

Gli uccelli

Ten cuidado, cuando vayas a hacer una mudanza, cuando vayas a cambiar país, costumbres, horarios, luces del día y la noche y cielos. Ten cuidado y pon atención en la música que esos días de descubrimiento y ansia, de expectación sin expectativas, vas a llevar en tus oídos. Porque después esa canción te devolverá, con un bofetón, a ese momento mágico y meravilloso, donde yo no conocía la tierra que iba a ser parte de mi casa sin remedio (por mucho que me haya obstinado en negarla). Te devolverá, un sábado por la mañana, sin planearlo, a tardes de octubre cálidas como veranos, donde paseabas por calles nuevas desorientada, donde esperabas el sonido del interfono, bajar corriendo las escaleras con el corazón (ya) en la boca, como ibas a llevarlo de ahí en adelante, para jugar con el agua, con las olas, y con alguien que parecía un jeroglífico exótico y estimulante.
Y eran esos los ucelli que yo veía caer en picado mientras caían las tardes más temprano que en otros países, y esperaba la llegada de la noche en medio del mar en calma, aprendiendo a mover mis brazos con simetría y ritmo, aprendiendo a bañarme en el mar de octubre, en un momento en el que Crotone, el tiempo, y mi vida, no tenían un momento futuro, no tenían un mañana, porque no era capaz de saber qué sucedería al día siguiente.
Por eso esta mañana, unas semanas más tarde del día en que la vida que quiero y deseo empezó, y reconociendo que cinco años me han servido para darme cuenta de eso, celebro con orgullo cada paso que he dado y todas las situaciones que me han llevado hasta aquí.
Celebro la casualidad, o el destino. Celebro lo que estaba en mi mano y las circunstancias que no puedo controlar. Celebro el mar, el bosque, el lago, y las calles sin aceras. Celebro mirar para atrás y saber, ahora con seguridad, que no cambiaría ni un segundo de lo que he vivido. Celebro saber que esta es la vida que amo, que quiero, y que cinco años en ella son sólo el principio.
Crotone y Stefano llegaron a la vez para darme este pacto indisoluble de alegrías y penas. Ahora puedo mirar con serenidad las cosas. Y puedo quitarme las gafas con las que veo una parcial versión de la historia. Ahora puedo decir, que de momento, mi vida me ha gustado y me gusta. Y si vamos a elegir otra, será con un regalo del sur bajo el brazo.
Y quizá elegiremos canciones mejores para nuestros inicios y reinicios.

Cuando vaya a dar la vuelta de los cinco años

…voy a pensar de nuevo en la expresión «envejecer juntos».

Quizás porque ahora empiece a sorprenderme al ver las fotos, como en un antes o después de pasar por alguna operación de cirugía estética. Sin saber si el antes inconsciente o las arrugas de todo lo vivido sea algo bueno para la cara y lo que se lleva dentro.

Quizás, en todas estas idas y venidas, en el proceso de quitarse las capas de los otros, las expectativas, manteniendo a flote los sueños que se chocan con la vida diaria, es algo valioso tener un compañero, como en este caso se llama a alguien que no te pedirá que te quedes, pero del que lejos ya no quieres estar nunca más.

En este lago, que es nuestro lago, donde alejamos nuestros demonios, donde nos desprendemos de las nubes a base de sudor y olor a pino, donde hemos competido y nos hemos gritado, para darnos fuerza y para discutir donde solo los árboles escucharan nuestras desgracias, aquí nos encontramos cada año. Aquí hacemos balance de nuestra maravilla, la que construimos e imaginamos lejos de cualquiera que pueda molestarnos. Con todo el esfuerzo que empieza a señalar nuestro rostro. En este pozo de agua profunda vemos saltar las carpas y nuestras ilusiones, aunque no vayan a cumplirse, aunque seamos los únicos habitantes de esta cuenca de agua.

Un día decidimos rodearlo. Pedaleamos hasta quedarnos sin aliento, y después el peso de nuestra vida en esta parte del mundo se hacía más ligero. Pero la ligereza a veces no es nuestro punto fuerte. Por eso es necesario no solo tener un lago, tambien los brazos del otro. Que nos lleve a la superficie y nos haga flotar en el agua dulce. De esta manera no estamos equivocados. De esta manera nos veo, cansados, arrugados, o despeinados, pero realmente como somos. Veo lo que hemos conseguido, lo que estamos haciendo. Veo que envejecer juntos significa eso. La serenidad, como el lago, cuando baja el sol y atardece. Las piñas en la carretera, el humo de las chimeneas, la nieve en invierno y la brisa en verano.

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Dirty, noise, ants in the bathroom

Dirty, noise, ants in the bathroom

Esta persona que véis aquí no tiene mucho que ver con la que escribe.

Pero es la misma que la que escribe.

A veces me pregunto cómo voy a ser cuando tenga 35, 45, o 70 años.

Estoy segura de que voy a seguir cambiando, y esto me llena de emoción. Porque quiero vivir para verlo, para ver los cambios que el viento, el sol y la lluvia tienen reservados en forma de arrugas en mi cara, y también esa confianza ciega en que la Irene del medio siglo va a llevar una maleta llena de herramientas, objetos y souvenirs. Llena hasta los topes, con tanto extra de peso en Ryanair. Y va a ser increíble cuando llegue a ese momento. También va a ser increíble el camino.

Por eso la serenidad es importante. Desde esa imagen hasta mi presente han pasado 6 años durísimos con un trabajo personal para conseguirla. Creo que estoy en un buen punto. Al mismo tiempo, me encanta que también la que era en el pasado me enseñe algo.

En ese momento, pongámonos en el 2013. Padova. En realidad, Malta. Dirty, noise, ants in the bathroom. Los comentarios de booking como definición de nuestra propia vida. Y era realmente así, algo caótico y colorido lleno de reflejos de mar en la piel más blanca que he tenido nunca (todo gracias a la Pianura Padana y su clima de nieve hasta Mayo). Mi imagen, mi concepción sobre la vida que llevaba, aquí alcanzó su punto más alto. Tenía tanta confianza en mi presente y mi futuro, fue el momento en el que más me dediqué a soñar. Y mis sueños eran mucho más normales que mis aventuras italianas. El surrealismo al que dediqué mi vida me hizo tan fuerte que ahora me pregunto cómo fue capaz de pasar por tantas situaciones sin venirme abajo (nota mental, Irene del presente, ¿te dejaste el optimismo en el norte del país?). Igualmente, esa chica estaba confiada, aunque aún no sabía quien era, tenía seguridad, aunque aún no sabía lo que quería, y soñaba a lo grande, aunque no tenía nada que hubiera hecho por si misma.

En perspectiva, eso es genial. Cojo lo mejor de ella y lo mejor de mí ahora y hago un cóctel explosivo. Aquí entra tambien el Body Positive, mi estrenado brand new pragmatismo, mis ganas de sentirme como ella en ese barco lleno de viento, pero con las condiciones mezcladas de paz interior que ahí me faltaban.

Coger perspectiva, y carrerilla. Esa es la clave. Por eso preparo para mia alumnos las diferencias entre el presente, el indefinido y el futuro. Porque todo vale, Porque todo sirve. Porque es fundamental.

La dignidad

Yo odiaba a esa profesora de francés. Pero de pequeña mi ventana hacia el mundo era observar las personas que me interesaban. Y aquella profesora mi fascinaba. Porque llevaba su baja estatura y su condición de soltera de más de treinta con una dignidad pasmosa, a veces rasgada por una frustración interna que nos dejaba entrever cuando se enfadaba exageradamente si olviábamos un acento o una cejilla.

Seguramente no se sentía muy feliz siendo una mujer soltera. Pero no creo ( y no lo creía en aquel momento) que fuera porque pensase que era algo que deseaba profindamente. Creo que su frustración derivaba del eco de profesores y alumnos y toda esa parte de la sociedad del 2000 que murmuraba entre los pasillos, puntando el dedo sobre ella como culpable de algún pecado inconfesable, de su conocido malhumor, una mujer que no «se llevaría nadie».

Y no es por esto que me planteo retomar los cuatro años de francés en tensión y pánico por sus comentarios ácidos y sus malas calificaciones. Esto no tiene nada que ver, es todo gracias a una guía turística de la Normandía que aprende español y no soy capaz de encontrar las palabras mejores para ella, también porque ella hace el segundo mejor trabajo del mundo(otro de mis sueños en el cajón) y seguramente porque mi lingüística aplicada me hace fascinarme ante la comparación de los idiomas vecinos como si los cambios vocálicos fueran pura magia. Menos útil pero más bello que el inglés.

Entonces, una cosa llevó a la otra, y acabé pensando en la pesadilla de profesora de francés que me hizo odiarlo y tener pánico de las preguntas a traición. A pesar de este pánico nunca lo estudiaba ( qué borrica) y sabía que iba a acabar en su cuaderno forrado con plástico, con puntos negativos sobre mi nombre, estudiando conjugaciones sólo el día antes del examen.

Y entonces la veo, caminando por los largos pasillos con rapidez, radiocasette en mano, y comprendo lo importante que era para ella su trabajo, el amor que tenía por la lengua y el odio que nos tenía a nosotros que no sabíamos apreciarlo. La parsimonia y su caligrafía delicada, su uso del material escolástico como si fueran las sagradas escrituras. Y esa dignidad, sobre todo veo la dignidad de quien tiene una presencia y un motivo por el que levantarse por las mañanas. Y vivir serenamente, a pesar de lo que diga la gente.

Por eso mis lenguas romances son un poco mi forma de levantar la nariz con respecto a quién me mira como un bicho raro. Es posible que toda esta aristocracia, que ahora considero tan necesaria y útil para sobrevivir en un sitio como este sin volverme idiota me venga de mi pareja. El único habitante que no se doblega al dialecto ni para discutir con alguien. Una marca de distinción para llevar nuestra educación, nuestros valores, nuestro modo de vivir, que aquí se resumen en «nuestras rarezas» en algo que cuidar como un legado y una condición que llevar como un sombrero, con el mentón en alto para que no se caiga.

No pienso que todos seamos iguales, esto no tiene que ver con comparativos o superlativos. Son agrupaciones distintas, y en esta época de conclusiones, de llegar a tantas revelaciones después de años de preguntas, ahora que viene la serenidad después de muchas tormentas, encontramos esa calma es el amor propio, y la aristocracia se traduce en el cuidado de todo esto como el cuaderno plastificado de la profesora de francés, nuestras sagradas escrituras son las canciones de Marafioti, que nos recuerdan que rarunos y contracorriente, pero con una copa de vino en un restaurante que mira al mar, o subidos en una moto que recorre Italia del sur al norte, con nosotros volando.