together we’re invicible

Tengo 11 años, tengo 15 años, tengo 18 años, tengo 22 años. Tengo 28 años y todavía tengo todos los demás. Cada cuatro años un ciclo y este último no me ha gustado.

Smetti di scrivere se vuoi vivere, smetti di leggere se vuoi dormire. Smetti di sognare se vuoi avere una vita reale. Eppure il 60 % della mia sostanza è incoscia, eppure tutti i miei ricordi, sogni ed incubi sono interferenze nel mio presente, così tangibili, così reali e così dolorosi come prima. La verità è che non ho mai voluto togliermi di dosso tutti questi traumi, perchè il dolore era anche un sentimento così penetrante e cosi forte che l’ho cercato persino quando sprofondavo, per cercare di sentire qualcosa.

E se dicessi che la mia missione nel mondo era amare, era perchè sarebbe stato implicito anche soffrire, l’altra parte della medaglia, non capita da chi non si spiega come è possibile la mia situazione. Come è possibile il non riuscire a dimenticare le promesse fate a 16 anni, promesse mantenute nel tempo.

Non ho potuto amazzare le fasi pasate della mia vita, perchè le proteggo come una candela in mezzo al buio. Perchè credevo che loro mi avrebbero dato la forza per continuare, e loro sono invece quelle che mi bloccano.

La mia psicologa mi cura dicendomi di scrivere, e ci ho messo così tanto a correre velocemente per non farmi acchiappare dai miei traumi… Ora ,mi sono fermata e mi sono girata per guardarli in faccia. È così doloroso.

Primo livello, completato, Secondo livello, una scatola di Pandora che non avrei mai voluto aprire, un trauma che ho sempre conosciuto e riconosciuto come tale. Secondo livello, il formamentis della mia personalità. e della mia debolezza. L’acettare, sopratutto e sopratutti, di essere molestata, di essere buttata per terra, solo per essere amata. Un amore così grande che non è stato dimenticato, un sentimento al cui mi agrapo con unghie e denti e che si mostra davanti a me più vero di qualsiasi realtà ordinaria. Come chiudere di nuovo gli occhi per tornare al sogno che facevi prima di svegliarti. Rimpiangere un passato perduto per il resto della tua vita.

Se la tua vita durassi 40 anni… se la mia vita durassi 40 anni, non proverei più a disintossicarmi dalla mia droga. Andrei a cercarla e me la godrei fino in fondo. Mi costruirei il mio mondo di fantasia, e ci rimarrei lì. Meglio viviere nell’imaginazione colorata che in un mondo griggio. Sicuramente questa risposta non l’avrei dato qualche settimana fa, preocupata como era di rimanere con i piedi per terra. Ma io non appartengo a questo mondo tanto quanto al mondo della mia mente. Dove gli amori continuano e non sei ferita, solo sei ferita per amare con più forza. Un sogno dentro di un sogno. Tornerei a creare una vita diffusa, con i bordi permeabili, guardando verso el cielo e vivendo verso il basso. Prenderei un aereo e mi presenterei ovunque il mio primo amore fosse, proverei a parlarci, tanto la mia vita durerà solo dieci anni in più. Non avrei il rimpianto di una cosa inconclusa, di una montagna russa spezzata in mezzo alla discesa. Recupererei le mie amiche quando ancora non ero una delusione per loro ne loro una ipocresia per me. Mi obbligherei a tornare indietro di dieci anni, e se quella vita non mi appartenesse di più, andrei a cercare una droga di quelle vere, di quelle alucinoggene, oppure mi butterei dalla finestra.
Quello che farei, se la mia vita durassi soltanto 40 anni, sarebbe smettere di lavorare, smettere di proietare, smettere di preoccuparmi per gli orari, le ore di sonno, il numero di dolci, i km caminati, la salute della mia testa.

Metterei la musica a tutto volume, farei gli incantesimi, con il mio superpotere di provocarmi stati di animo con una fotografia o una canzone.

Smetterei di cercare di essere una persona normale. Darei alla mia malattia tutto lo spazio abitabile, la farei impossessarsi dal mio corpo. Seguirei questo istinto. Ricorderei le parole di mia zia Linda, dicendomi di non essere sbagliata. Sarei una buona influenza per qualcuno, sorriderei alla gente per strada, e non mi importerebbe di sembrare troppo pazza, troppo intentsa, troppo sognatrice, troppo esagerata. Sarei esagerata, goderei i miei pasti come se fosse al ristorante stellato, farei i viaggi e rimarrei senza un soldo, farei tutte le mie esperienze, mi porterei in viaggio tutte le persone che sono state importanti per me. Inizierei a non dormire la notte. Farei della mia insomnia parte della mia identità, finchè non mi importassi più e i miei cicli circadiani si metessero a posto. Mi sarei giá operata la vista, andrei in una spiagga nudista. Passerei un anno intero in Latinoamerica, un altro in Australia. Parlerei con tutti gli stranieri o persone di altri paesi, tornerei a scrivere e a leggere e a immaginare altri mondi e confondere quei mondi con la realtá, non mi importerebbe più la conseguenza di stato di animo di una canzone, vorrei vivere nel pasato, nel presente e nel futuro contemporaneamente. Mi dichiarerei felicemente ingorante a quelli che aspettano qualcosa di te. Andrei a tutti i concerti dei KISS fino alla fine, andrei ai concerti di Muse y di RHCP con il mio ex fidanzato, che da persona manipolatrice potrebbe continuarmi a manipolare, ma in una misura molto più piccola perchè sarei forte, libera, pazza, e con un piede nel aldilà e un altro nel mondo della mente. E questo sarebbe fantastico, perchè sarei felice con quello che tutti mi avrebbero vietati.

E sicuramente, così, non avrei più muco nella gola, perchè non mi dedicherei a mangiare cose che mi danno allergia ma mi fanno sentire felice. Neanche avrei il colon irritabile, perchè accettare e accentuare la mia malattia mi creerebbe una sensazione di benessere, e mi sentirei volare. E quando, tal volta, mi sentisse persa e senza consolazione, in una ruota che gira senza che io la guidi, mi metterei a dormire con la vita che ho adesso, per recuperare un pò di ripetizione e sicurezza. Non perderei a nessuno, perchè non ci sarebbe una scelta da fare. Tutti farebbero parte della mia vita come lo fanno nella mia testa.

Un día malo lo tiene cualquiera

y por eso tienes el derecho a comer todas las guarradas que quieras
a hacer tres desayunos
cinco postres
sandwich para todos los gustos

tienes el derecho a meterte en la cama
o en el sofá a ver videos de supernanny
y todos los realities ridículos que te vacían la mente

tienes el derecho
y este es muy importante
de dejar a un lado las preocupaciones y responsabilidades
de tu dia en casa
y ver como la casa se desordena sola
e implosiona en una mezcla de migas por el suelo y polvo en las estanterías
y ropa acumulada en el cesto

y tienes el derecho
porque tu cuerpo es tuyo, y tu mente
y te piden todo eso
porque tu tienes el derecho
y tú vas primero.

Hey chica

te ves increíble.

Cuando estás enfadada sacas lo mejor de otras personas. Tu rabia te permite llegar a tus objetivos. Las líneas de tu frente son toda tu concentración.

Quizás no era todo lo que quería decir. Es el deseo de introducir nuevo vocabulario aunque sean préstamos. Te ves increíble, pero no hoy. Siempre. Siempre porque eres una persona valiosa, porque te tienes a tí misma. Tienes que empoderarte. Darte el poder y darlo a los demás.

Chica, te ves incríble, lo digo demasiado por todas las veces que me ha faltado. He tenido la suerte a mi alrededor con un montón de niñas, adolescentes, mujeres increíbles. He crecido entre mujeres, dentro de mi se ha instaurado un matriarcado. Mis amigas son genios inteligentes que mejoran el mundo de la sexualidad, la medicina y la fuerza femenina. Una tiene horas de guardias a su espalda sin perder el compañerismo, la otra se ha montado aquelarres para que nuestro fuego no se apague. La tercera es trotamundos, social y defensora de las mujeres que no saben defenderse.

En mi trabajo, día a día, he contado con todo tipo de mujeres valiosas. La que tenía depresión y otra enfermedad crónica y hacía ilustraciones maravillosas, la timideza que demostraba un carácter sensible y maravilloso. Aquella que tenía más de treinta y dejó a su novio porque no era feliz, incluso si a los treinta es dificil dejar a nadie, y su nuevo peinado es fabuloso. La que tenía una madre difícil y luchaba por no asemejarle. La que intentaba salir de la India a golpe de libros y estudios. La del trabajo de viajes para mujeres solteras e independientes. La que trabajaba, estudiaba, y se mantenía con todo a flote.

También a mi alrededor he tenido otras cosas. Las mujeres que creen estar aún en el siglo pasado, puedes sentir su envidia mal escondida. Quieres alejarte de esa vida y de todas las similares.

Y por eso te vuelves agorafóbica. Y tienes miedo social. Y mientras descubres que ya no sabes escribir, pero que ahora sabes mirar tu reflejo real en el espejo. Ya no sabes hacer que todo el mundo vaya bien para tí, pero ahora tú eres la persona justa que está contigo. Sigues comiendote el paquete de galletas, pero ahora te importa una mierda cómo sea tu cuerpo mientras que siga funcionando. No eres capaz de hacer amigos, pero la soledad es cuando estás con otra gente. Eres más intransigente, porque ahora mereces ponerte en el primer puesto.

Y de esto y aquello, has cambiado. Y en la balanza está lo bueno y lo malo de quien eres ahora. Pero ahora te estás mirando, más nítida, más tal cual eres, y te estás diciendo «hey chica, te ves increíble»

Historia de unas mudanzas

Perder los calcetines no es el único problema de una mudanza.

La realidad es siempre más tosca, urgente, visceral y sucia.

Puedes acabar rompiendo los cristales de un mueble o las relaciones, porque pone a prueba la calidad del mobiliario y las relaciones. O puede ser que de todo esto se salga diferente, y uno salga zen, fortalecido, y con los bíceps de un culturista.

El tiempo de las mudanzas se estira como un chicle, pasan cinco semanas y te parece que ni siquiera has llegado a la mitad de lo que tenías que hacer, te planteas el cambio de casa por cámper, piensas en todo lo minimalista que decías que eras, pero no eres capaz de tirar cosas viejas solo porque conservan el olor del pasado.

Y sin embargo, para todo hay un punto final, también para las mudanzas.

Igual que ahora te das cuenta de que es junio, y justo el junio de hace un año entraste en un vórtice del que pensabas no ibas a salir nunca, y ahora te ves en el espejo con todo lo que habías perdido, sin querer volver a ese lugar. Si ese lugar existiera, sería una estación de metro abandonada llena de yonquis a las cinco de la mañana.

Pero en realidad estamos hablando de la mudanza. No de las que haces dentro, saludando con la mano a la Torquemada de hace uno, dos, cinco, o diez años. Llevándolas dentro pero no siendo ellas nunca más.

Hablamos de las mudanzas de cambiar tus bártulos, las vistas de tu balcón, tu balcón. El supermercado y los vecinos del ascensor. Es querer matar a toda tu familia política, especialmente a tu pareja. Es verte poniendo otra dirección a tu documento de residencia. Escribiendo, al lado, con lápìz, «casa» y que no sea algo extraño.

Mirar en los cajones, ver tus nuevos cubiertos. Usmear y pensar en situaciones futuras: Aquí estaré las tardes de lluvia con un libro, aquí pondré todos mis libros y cuadernos.

La mudanza llega cuando tenía que llegar. Para mí y para Stefano.

Para él, como una de las medallas que se pone entrando en su mediana edad, hombre adulto, hombre afirmado, hombre con cosas.

Para mí, como mi casa en mi casa. Como un lugar para no sentirme extraña. Como quien cambia el pelo en las estaciones, la cara através de los años, quien eras y quien vas a ser.

El clavo (II)

El clavo (II)

Puede ser una señal, y casi te deslumbra.
En el dolor, no obstante, el abrazo es más rápido que un cepo.

 

Te he dejado dormir tres horas, y de vez en cuando iba a mirarte descansando, como un niño tranquilo y pequeño, sin ninguna preocupación por la cabeza. Cuando te has despertado, he inspeccionado tu cara en todos sus detalles, tratando de saber si este flaco favor de siesta larga te habría devuelto todos los años de vida que te he quitado a base de disgustos.

Cuando hablamos de una persona que esta mal, empezamos a analizar las características de la enfermedad, ya sea leve o grave, real o ficticia. Tomamos el pulso a la gravedad del asunto, intentando medir su importancia a través de los daños colaterales que crea. Ponemos la vida del paciente patas arriba. Intentamos mirar los síntomas desde puntos de vista freudianos, atribuimos la ausencia de proteínas a la sensación de total abandono. En todo este proceso, el paciente está solo. No porque no haya médicos, profesionales, familiares y novios que no beban los vientos por el paciente, que no intenten dar una mano allí donde sus posibilidades les permitan. El paciente está solo porque la burbuja de la enfermedad es grande, tiene los bordes espesos como el cristal de las gafas con demasiada miopía. Desde allí dentro, uno no es capaz de escuchar los gritos de auxilio del uno, los sentimientos amorosos de los otros.

Se crea una barrera en las enfermedades que no se ven.

Son enfermedades que atacan la médula ósea, el cerebro, la atención y la capacidad de reconocerse en el espejo. El paciente se siente otro y ese otro no es si no la figura esperpéntica reflejada en los espejos del callejón del gato. Y de todo esto no podemos dejar constancia, trazo, descripción que pueda dar una visión objetiva, un informe y una receta.

No voy a divagar de la vida, de las luces y de los claros. A veces, el paciente no es capaz de ver ni lo uno ni lo otro. A veces el paciente no ve nada más, porque el paciente tiende a ser egoísta, como característica de su enfermedad solitaria de la que es portador.

Por eso el paciente no está al tanto de los muertos o víctimas que deja por el camino, y que hace marchitar con su aliento viciado de pensamientos circulares. Los demás, las víctimas son esos que rodean al paciente, de manera atolondrada, sin saber cuáles son las palabras, los gestos, los momentos más adecuados para hablar. Las opiniones aceptadas y las inadmisibles, las teorías descabelladas y aquellas desesperadas. Los que pierden el sueño y la vida sin saber por qué o cómo han podido aunque sea de manera periférica provocar o dejar que eso le pasara al paciente. Cómo se llegó hasta ese punto. Cómo ocurrió.

Es inútil dar vueltas al parte meteorológico porque comprobar el tiempo cada dos días no impedirá que llueva el día que menos lo deseas. Es inútil empecinarse al por qué , al cómo, a las estrategias innovativas que sostendrán tu delicado equilibrio entre el pensamiento razonable y la sospecha de una enfermedad incurable. Es inútil hacerlo porque no lo hacían nuestros antepasados, no lo hacían aquellos que venían delante. Todos los que lo hicieron tuvieron la misma amarga fortuna de Anna Karenina.

El paciente rompe la burbuja de su dolencia para mirar las caras ajadas y descompuestas de los que han perdido el sueño con ellos. El paciente quiere darles de nuevo el color a las mejillas, la vitalidad que él mismo se chupa para intentar salir del hoyo. El paciente sabe que no escaparán despavoridos, que solo pocos conocen las consecuencias de taponar una fuga de agua con la mano. Pero, afortunadamente, el paciente no está dispuesto a destrozar más vidas que la suya. Y ese pensamiento puede ayudar al paciente a recoger sus bártulos, ponerlos en una habitación, hacer la magia del orden y tirar el 90 por ciento de vida que no sirve, y volver a empezar de cero, desde lo básico, aprendiendo a dormir, a comer, a vivir.

Aprendiendo a disfrutar del mejor día de su vida en los últimos siete meses, cuando ha tocado el fondo, y entonces se deja llevar y ve cómo es posible volver a vivir.

 

Para el amor de mi vida,
che conosce tutto e mi ama ancora.

Gli uccelli

Ten cuidado, cuando vayas a hacer una mudanza, cuando vayas a cambiar país, costumbres, horarios, luces del día y la noche y cielos. Ten cuidado y pon atención en la música que esos días de descubrimiento y ansia, de expectación sin expectativas, vas a llevar en tus oídos. Porque después esa canción te devolverá, con un bofetón, a ese momento mágico y meravilloso, donde yo no conocía la tierra que iba a ser parte de mi casa sin remedio (por mucho que me haya obstinado en negarla). Te devolverá, un sábado por la mañana, sin planearlo, a tardes de octubre cálidas como veranos, donde paseabas por calles nuevas desorientada, donde esperabas el sonido del interfono, bajar corriendo las escaleras con el corazón (ya) en la boca, como ibas a llevarlo de ahí en adelante, para jugar con el agua, con las olas, y con alguien que parecía un jeroglífico exótico y estimulante.
Y eran esos los ucelli que yo veía caer en picado mientras caían las tardes más temprano que en otros países, y esperaba la llegada de la noche en medio del mar en calma, aprendiendo a mover mis brazos con simetría y ritmo, aprendiendo a bañarme en el mar de octubre, en un momento en el que Crotone, el tiempo, y mi vida, no tenían un momento futuro, no tenían un mañana, porque no era capaz de saber qué sucedería al día siguiente.
Por eso esta mañana, unas semanas más tarde del día en que la vida que quiero y deseo empezó, y reconociendo que cinco años me han servido para darme cuenta de eso, celebro con orgullo cada paso que he dado y todas las situaciones que me han llevado hasta aquí.
Celebro la casualidad, o el destino. Celebro lo que estaba en mi mano y las circunstancias que no puedo controlar. Celebro el mar, el bosque, el lago, y las calles sin aceras. Celebro mirar para atrás y saber, ahora con seguridad, que no cambiaría ni un segundo de lo que he vivido. Celebro saber que esta es la vida que amo, que quiero, y que cinco años en ella son sólo el principio.
Crotone y Stefano llegaron a la vez para darme este pacto indisoluble de alegrías y penas. Ahora puedo mirar con serenidad las cosas. Y puedo quitarme las gafas con las que veo una parcial versión de la historia. Ahora puedo decir, que de momento, mi vida me ha gustado y me gusta. Y si vamos a elegir otra, será con un regalo del sur bajo el brazo.
Y quizá elegiremos canciones mejores para nuestros inicios y reinicios.

Cuando vaya a dar la vuelta de los cinco años

…voy a pensar de nuevo en la expresión «envejecer juntos».

Quizás porque ahora empiece a sorprenderme al ver las fotos, como en un antes o después de pasar por alguna operación de cirugía estética. Sin saber si el antes inconsciente o las arrugas de todo lo vivido sea algo bueno para la cara y lo que se lleva dentro.

Quizás, en todas estas idas y venidas, en el proceso de quitarse las capas de los otros, las expectativas, manteniendo a flote los sueños que se chocan con la vida diaria, es algo valioso tener un compañero, como en este caso se llama a alguien que no te pedirá que te quedes, pero del que lejos ya no quieres estar nunca más.

En este lago, que es nuestro lago, donde alejamos nuestros demonios, donde nos desprendemos de las nubes a base de sudor y olor a pino, donde hemos competido y nos hemos gritado, para darnos fuerza y para discutir donde solo los árboles escucharan nuestras desgracias, aquí nos encontramos cada año. Aquí hacemos balance de nuestra maravilla, la que construimos e imaginamos lejos de cualquiera que pueda molestarnos. Con todo el esfuerzo que empieza a señalar nuestro rostro. En este pozo de agua profunda vemos saltar las carpas y nuestras ilusiones, aunque no vayan a cumplirse, aunque seamos los únicos habitantes de esta cuenca de agua.

Un día decidimos rodearlo. Pedaleamos hasta quedarnos sin aliento, y después el peso de nuestra vida en esta parte del mundo se hacía más ligero. Pero la ligereza a veces no es nuestro punto fuerte. Por eso es necesario no solo tener un lago, tambien los brazos del otro. Que nos lleve a la superficie y nos haga flotar en el agua dulce. De esta manera no estamos equivocados. De esta manera nos veo, cansados, arrugados, o despeinados, pero realmente como somos. Veo lo que hemos conseguido, lo que estamos haciendo. Veo que envejecer juntos significa eso. La serenidad, como el lago, cuando baja el sol y atardece. Las piñas en la carretera, el humo de las chimeneas, la nieve en invierno y la brisa en verano.

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Dirty, noise, ants in the bathroom

Dirty, noise, ants in the bathroom

Esta persona que véis aquí no tiene mucho que ver con la que escribe.

Pero es la misma que la que escribe.

A veces me pregunto cómo voy a ser cuando tenga 35, 45, o 70 años.

Estoy segura de que voy a seguir cambiando, y esto me llena de emoción. Porque quiero vivir para verlo, para ver los cambios que el viento, el sol y la lluvia tienen reservados en forma de arrugas en mi cara, y también esa confianza ciega en que la Irene del medio siglo va a llevar una maleta llena de herramientas, objetos y souvenirs. Llena hasta los topes, con tanto extra de peso en Ryanair. Y va a ser increíble cuando llegue a ese momento. También va a ser increíble el camino.

Por eso la serenidad es importante. Desde esa imagen hasta mi presente han pasado 6 años durísimos con un trabajo personal para conseguirla. Creo que estoy en un buen punto. Al mismo tiempo, me encanta que también la que era en el pasado me enseñe algo.

En ese momento, pongámonos en el 2013. Padova. En realidad, Malta. Dirty, noise, ants in the bathroom. Los comentarios de booking como definición de nuestra propia vida. Y era realmente así, algo caótico y colorido lleno de reflejos de mar en la piel más blanca que he tenido nunca (todo gracias a la Pianura Padana y su clima de nieve hasta Mayo). Mi imagen, mi concepción sobre la vida que llevaba, aquí alcanzó su punto más alto. Tenía tanta confianza en mi presente y mi futuro, fue el momento en el que más me dediqué a soñar. Y mis sueños eran mucho más normales que mis aventuras italianas. El surrealismo al que dediqué mi vida me hizo tan fuerte que ahora me pregunto cómo fue capaz de pasar por tantas situaciones sin venirme abajo (nota mental, Irene del presente, ¿te dejaste el optimismo en el norte del país?). Igualmente, esa chica estaba confiada, aunque aún no sabía quien era, tenía seguridad, aunque aún no sabía lo que quería, y soñaba a lo grande, aunque no tenía nada que hubiera hecho por si misma.

En perspectiva, eso es genial. Cojo lo mejor de ella y lo mejor de mí ahora y hago un cóctel explosivo. Aquí entra tambien el Body Positive, mi estrenado brand new pragmatismo, mis ganas de sentirme como ella en ese barco lleno de viento, pero con las condiciones mezcladas de paz interior que ahí me faltaban.

Coger perspectiva, y carrerilla. Esa es la clave. Por eso preparo para mia alumnos las diferencias entre el presente, el indefinido y el futuro. Porque todo vale, Porque todo sirve. Porque es fundamental.

Fuera, el ruido

Creo en nosotros más de lo que creo en mi, aunque tu crees por los dos tantas veces. Creo que la dependencia psicológica tiene que ver con todo esto como el chocolate a la planta del cacao. Y nosotros estamos en esa miscelánea, pura, y amarga. Creo que las cosas últimamente nos han ido (por separado, en nuestras propias circunstancias, nuestra creación de las personas que somos cada uno de los dos cuando no somos nosotros) bastante mal y bastante bien en mucho sentidos. Y por eso cuando todo lo periférico va hacia abajo, cuesta abajo y sin frenos en el cansancio de la vida, del trabajo, de las cincuenta bacterias y virus que decidieron inundar mi cuerpo en los últimos tres meses, ahí estamos nosotros, a veces molestos con la vida y nosotros mismos, a veces aferrados a la esperanza que nos dan nuestros sueños de futuro. Un futuro que ya no soñamos utópico, con las macetas del azféizar de una ventana que nunca nos podremos permitir. Un futuro que ahora soñamos ridimensionado, en el oro de lo que ya tenemos. La luz, el tiempo libre, la tramontana.

Ahora soy un Van Goth con un pitido constante. Me tiene siempre alerta y con las armas en el hombro. Me encuentra exhausta, preguntándome cómo una tercera criatura podría ser añadida a la ecuación mientras lavo los platos. Pensando, no es posible. Soy demasiado egoista para que aquí esté todo. Giro el metro de esquina que separa mi pasillo cocina de tu cara cansada. Y cambio de idea. Creo en tí porque eres y estñas y también porque tú crees en nosotros. Y tienes la palabra lúcida incluso cuando estás a 38 grados de temperatura. Incluso cuando cerramos la verja de la casa y el viento y las dificultades nos aislan en un cuarto en el que muchas veces el aire está viciado. Para eso sirve la tramontana en el oído otítico. Para sufrir. Pero también para no dejarse vencer por el cansancio, para estar aún despierto.

Estamos despiertos. Estamos vivos.

¿Te acuerdas cuando estaba más deprimida de lo que nunca he estado desde que te conozco? Entonces yo no veía el color del mar al que me llevaste, la luz que entraba entre las rocas mientras atardecía. Entonces yo estaba demasiado ofuscada, demasiado encerrada en mis demonios y mis lorzas aunque el verano ya estaba llamando a la puerta. Fue un periodo horrible, y cambió el futuro de un modo alucinante. Ahora esa parte de mi vida es brillante y llena de esperanzas. Así que espero que lo que tenga que venir ahora vaya a ser estrepitoso, y este agujero negro sea sólo otro de esos cambios de rasante que utilizo para impulsarme hasta el cielo. Para ver (aún) más claro de lo que este último año está haciendo conmigo. Estamos. Y estamos tan lúcidos ahora. Cansados, débiles, llenos de gripe. Pero estamos tan seguros que este credo lo recitamos al unísono, entre las sábanas, mientras se recuperan las fuerzas para seguir cansándonos.

 

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Tarde para irnos intactos

Salamanca me recuerda mucho a Vetusta Morla. Los escucho antes de llegar, cuando me voy, y cuando estoy morriñosa por aquel lado. Y tiene todo el sentido del mundo porque igual que entiendo el romanticismo de las canciones me puedo imaginar el calor que tienen que pasar en Madrid en junio. A ver, así es la vida,o al menos como te la presentan. Para hacer esas letras increibles seguro que se han comido la boina de mierda que hay encima de Madrid y muchos meses sin ir a la playa. Pues como todo, la fotografía de la vida de la gente está muy alejada de la realidad de cada uno. Lo importante es que uno esté orgulloso de la parte menos fotogénica de su vida.

Mientras que en mi parte de allí sueño y vivo con Lucio Battisti de otoño, y muchas caribeñadas en los veranos de cinco meses. Está bien así. Como lo está ahora mi vida, después del aquí y el allí y la cabeza poniéndose como un bombo intentando encontrar una linea recta.

Pero las personas no somos líneas rectas, ni caminamos así. Igual ahora yo camino por la piedra pero esta piedra esta dentro aunque no me pertenece, porque he decidido que me pertenezcan los atardeceres añiles en vez de los naranjas. Y porque aunque no lo hubiera decidido el viento húmedo me ha empapado hasta los huesos y soporto mejor los 50 grados que los bajo cero.

A todo se acostumbra uno, lo que no me iba a imaginar es que lo iba a amar así tanto. Como el día que dije «fui a la montaña para darme cuenta de que era del mar» así de marítima me encuentro después de la incomodidad de las idas y venidas por la cara norte (de Salamanca hasta Gijón y tiro porque me toca). Yo no soy folclorica, pero la Taranta de Einaudi será lo que ponga en mis oídos apenas el avion aterrizado me devuelva el wifi, allí en mi culo del mundo.

Qué mal lo he pasado a la ida y qué bien me lo voy a pasar a la vuelta. La incomodidad sirve a hacer las paces con los distintos lugares. De aquí la civilización y la calles ordenadas, las más de mil vidas que podría haber tenido, la piscina con calefacción, los libros en hilera, las hileras de miradas que me han traído tanta nostalgia. De allí el instinto, la vida que me empuja cada vez más a la diferencia entre el día y la noche, las estaciones, los campos de visión vacíos donde se ve a lo lejos y no es una meseta, es agua y montañas. Y todo produce la confusión, la contradicción, la misma que te hace amar los coros rusos católicos y la música balcánica, sin que todo esto interrumpa el hilo argumental coherente.

Me han dicho muchas veces que en la vida hay que ser coherente. Y por eso tenía tantos líos en la cabeza. No había entendido que si deseas comer almejas siendo vegano tienes que comer almejas, y eso es contradictorio pero coherente. Pues así con todo, como decidir amar de aquí en adelante a una persona que no te ha quitado tu vida, que te ha enseñado otra. Del mix de todo está lo de aquí y lo de allá, un batiburrillo parecido al realismo mágico de los objetivos de año nuevo.

Lo incómodo te mete los alfileres en el vestido. Salir ileso con tus cicatrices bien cerradas es lo que hace que puedas irte con una sonrisa, y serena.