together we’re invicible

Tengo 11 años, tengo 15 años, tengo 18 años, tengo 22 años. Tengo 28 años y todavía tengo todos los demás. Cada cuatro años un ciclo y este último no me ha gustado.

Smetti di scrivere se vuoi vivere, smetti di leggere se vuoi dormire. Smetti di sognare se vuoi avere una vita reale. Eppure il 60 % della mia sostanza è incoscia, eppure tutti i miei ricordi, sogni ed incubi sono interferenze nel mio presente, così tangibili, così reali e così dolorosi come prima. La verità è che non ho mai voluto togliermi di dosso tutti questi traumi, perchè il dolore era anche un sentimento così penetrante e cosi forte che l’ho cercato persino quando sprofondavo, per cercare di sentire qualcosa.

E se dicessi che la mia missione nel mondo era amare, era perchè sarebbe stato implicito anche soffrire, l’altra parte della medaglia, non capita da chi non si spiega come è possibile la mia situazione. Come è possibile il non riuscire a dimenticare le promesse fate a 16 anni, promesse mantenute nel tempo.

Non ho potuto amazzare le fasi pasate della mia vita, perchè le proteggo come una candela in mezzo al buio. Perchè credevo che loro mi avrebbero dato la forza per continuare, e loro sono invece quelle che mi bloccano.

La mia psicologa mi cura dicendomi di scrivere, e ci ho messo così tanto a correre velocemente per non farmi acchiappare dai miei traumi… Ora ,mi sono fermata e mi sono girata per guardarli in faccia. È così doloroso.

Primo livello, completato, Secondo livello, una scatola di Pandora che non avrei mai voluto aprire, un trauma che ho sempre conosciuto e riconosciuto come tale. Secondo livello, il formamentis della mia personalità. e della mia debolezza. L’acettare, sopratutto e sopratutti, di essere molestata, di essere buttata per terra, solo per essere amata. Un amore così grande che non è stato dimenticato, un sentimento al cui mi agrapo con unghie e denti e che si mostra davanti a me più vero di qualsiasi realtà ordinaria. Come chiudere di nuovo gli occhi per tornare al sogno che facevi prima di svegliarti. Rimpiangere un passato perduto per il resto della tua vita.

Se la tua vita durassi 40 anni… se la mia vita durassi 40 anni, non proverei più a disintossicarmi dalla mia droga. Andrei a cercarla e me la godrei fino in fondo. Mi costruirei il mio mondo di fantasia, e ci rimarrei lì. Meglio viviere nell’imaginazione colorata che in un mondo griggio. Sicuramente questa risposta non l’avrei dato qualche settimana fa, preocupata como era di rimanere con i piedi per terra. Ma io non appartengo a questo mondo tanto quanto al mondo della mia mente. Dove gli amori continuano e non sei ferita, solo sei ferita per amare con più forza. Un sogno dentro di un sogno. Tornerei a creare una vita diffusa, con i bordi permeabili, guardando verso el cielo e vivendo verso il basso. Prenderei un aereo e mi presenterei ovunque il mio primo amore fosse, proverei a parlarci, tanto la mia vita durerà solo dieci anni in più. Non avrei il rimpianto di una cosa inconclusa, di una montagna russa spezzata in mezzo alla discesa. Recupererei le mie amiche quando ancora non ero una delusione per loro ne loro una ipocresia per me. Mi obbligherei a tornare indietro di dieci anni, e se quella vita non mi appartenesse di più, andrei a cercare una droga di quelle vere, di quelle alucinoggene, oppure mi butterei dalla finestra.
Quello che farei, se la mia vita durassi soltanto 40 anni, sarebbe smettere di lavorare, smettere di proietare, smettere di preoccuparmi per gli orari, le ore di sonno, il numero di dolci, i km caminati, la salute della mia testa.

Metterei la musica a tutto volume, farei gli incantesimi, con il mio superpotere di provocarmi stati di animo con una fotografia o una canzone.

Smetterei di cercare di essere una persona normale. Darei alla mia malattia tutto lo spazio abitabile, la farei impossessarsi dal mio corpo. Seguirei questo istinto. Ricorderei le parole di mia zia Linda, dicendomi di non essere sbagliata. Sarei una buona influenza per qualcuno, sorriderei alla gente per strada, e non mi importerebbe di sembrare troppo pazza, troppo intentsa, troppo sognatrice, troppo esagerata. Sarei esagerata, goderei i miei pasti come se fosse al ristorante stellato, farei i viaggi e rimarrei senza un soldo, farei tutte le mie esperienze, mi porterei in viaggio tutte le persone che sono state importanti per me. Inizierei a non dormire la notte. Farei della mia insomnia parte della mia identità, finchè non mi importassi più e i miei cicli circadiani si metessero a posto. Mi sarei giá operata la vista, andrei in una spiagga nudista. Passerei un anno intero in Latinoamerica, un altro in Australia. Parlerei con tutti gli stranieri o persone di altri paesi, tornerei a scrivere e a leggere e a immaginare altri mondi e confondere quei mondi con la realtá, non mi importerebbe più la conseguenza di stato di animo di una canzone, vorrei vivere nel pasato, nel presente e nel futuro contemporaneamente. Mi dichiarerei felicemente ingorante a quelli che aspettano qualcosa di te. Andrei a tutti i concerti dei KISS fino alla fine, andrei ai concerti di Muse y di RHCP con il mio ex fidanzato, che da persona manipolatrice potrebbe continuarmi a manipolare, ma in una misura molto più piccola perchè sarei forte, libera, pazza, e con un piede nel aldilà e un altro nel mondo della mente. E questo sarebbe fantastico, perchè sarei felice con quello che tutti mi avrebbero vietati.

E sicuramente, così, non avrei più muco nella gola, perchè non mi dedicherei a mangiare cose che mi danno allergia ma mi fanno sentire felice. Neanche avrei il colon irritabile, perchè accettare e accentuare la mia malattia mi creerebbe una sensazione di benessere, e mi sentirei volare. E quando, tal volta, mi sentisse persa e senza consolazione, in una ruota che gira senza che io la guidi, mi metterei a dormire con la vita che ho adesso, per recuperare un pò di ripetizione e sicurezza. Non perderei a nessuno, perchè non ci sarebbe una scelta da fare. Tutti farebbero parte della mia vita come lo fanno nella mia testa.

La lunática y sus grupos sanguíneos

La mia vita scorre come un fiume
dopo aver guidato fra le curve siamo arrivati al lago
abbiamo buttato le nostre preocupazione, galeggiano e nuotano con le trote
ancora non è stato suficente

Ora ti travesti di persona triste, di persona ingrata, di persone con il cuore legato alle caviglie, preso a calci dalla vita e dai miei piedi. Ora ti vedi guardando il mondo dalla finestra, come le signore nelle case del dicianovesimo secolo. Guardando il pezzo piccolo di mondo che ti è stato dato.

È un mondo troppo piccolo, è facile sentirsi sicura e disperata allo stesso tempo. è facile che vengano i tuoi ricordi a visitarti, i tuoi fantasmi, la tua camicia a quadretti. è inutile che tu cerchi di spazzarli come la polvere degli angoli. È inutile ricostruire un mondo che non esiste piú.

Stiamo parlando del materiale del tetto quando ancora non ho comprato la terra per costruire la mia casa. Potrei eliminare qualche porta, qualche finestra. Non posso eliminare i muri portanti. Non posso sentirmi sbagliata se piango a dirroto per aver perso qualcosa. La verità, non ho perso molto, ma ho guadagnato.

Ho guadagnato le parole che non so più congiugare, alle quali non posso mettere fine perchè si muovono costantemente tra la massa cerebrale. Le parole non servono niente, solo gli atti, ma queste parole mi tengono vestita.

Non voglio fare più la scrittrice, non ricordo più come si scrive. Voglio smettere di addobbare il mio albero di natale finto, di abbellire qualcosa che non si è ancora creato. Vorrei tornare allo esenziale. Pensare e scrivere mi sta facendo male.

La cabra y la encina ahora debería llamarse la loca y el pino, la triste y el mar, la lunática y sus grupos sanguíneos.

Un día malo lo tiene cualquiera

y por eso tienes el derecho a comer todas las guarradas que quieras
a hacer tres desayunos
cinco postres
sandwich para todos los gustos

tienes el derecho a meterte en la cama
o en el sofá a ver videos de supernanny
y todos los realities ridículos que te vacían la mente

tienes el derecho
y este es muy importante
de dejar a un lado las preocupaciones y responsabilidades
de tu dia en casa
y ver como la casa se desordena sola
e implosiona en una mezcla de migas por el suelo y polvo en las estanterías
y ropa acumulada en el cesto

y tienes el derecho
porque tu cuerpo es tuyo, y tu mente
y te piden todo eso
porque tu tienes el derecho
y tú vas primero.

Hey chica

te ves increíble.

Cuando estás enfadada sacas lo mejor de otras personas. Tu rabia te permite llegar a tus objetivos. Las líneas de tu frente son toda tu concentración.

Quizás no era todo lo que quería decir. Es el deseo de introducir nuevo vocabulario aunque sean préstamos. Te ves increíble, pero no hoy. Siempre. Siempre porque eres una persona valiosa, porque te tienes a tí misma. Tienes que empoderarte. Darte el poder y darlo a los demás.

Chica, te ves incríble, lo digo demasiado por todas las veces que me ha faltado. He tenido la suerte a mi alrededor con un montón de niñas, adolescentes, mujeres increíbles. He crecido entre mujeres, dentro de mi se ha instaurado un matriarcado. Mis amigas son genios inteligentes que mejoran el mundo de la sexualidad, la medicina y la fuerza femenina. Una tiene horas de guardias a su espalda sin perder el compañerismo, la otra se ha montado aquelarres para que nuestro fuego no se apague. La tercera es trotamundos, social y defensora de las mujeres que no saben defenderse.

En mi trabajo, día a día, he contado con todo tipo de mujeres valiosas. La que tenía depresión y otra enfermedad crónica y hacía ilustraciones maravillosas, la timideza que demostraba un carácter sensible y maravilloso. Aquella que tenía más de treinta y dejó a su novio porque no era feliz, incluso si a los treinta es dificil dejar a nadie, y su nuevo peinado es fabuloso. La que tenía una madre difícil y luchaba por no asemejarle. La que intentaba salir de la India a golpe de libros y estudios. La del trabajo de viajes para mujeres solteras e independientes. La que trabajaba, estudiaba, y se mantenía con todo a flote.

También a mi alrededor he tenido otras cosas. Las mujeres que creen estar aún en el siglo pasado, puedes sentir su envidia mal escondida. Quieres alejarte de esa vida y de todas las similares.

Y por eso te vuelves agorafóbica. Y tienes miedo social. Y mientras descubres que ya no sabes escribir, pero que ahora sabes mirar tu reflejo real en el espejo. Ya no sabes hacer que todo el mundo vaya bien para tí, pero ahora tú eres la persona justa que está contigo. Sigues comiendote el paquete de galletas, pero ahora te importa una mierda cómo sea tu cuerpo mientras que siga funcionando. No eres capaz de hacer amigos, pero la soledad es cuando estás con otra gente. Eres más intransigente, porque ahora mereces ponerte en el primer puesto.

Y de esto y aquello, has cambiado. Y en la balanza está lo bueno y lo malo de quien eres ahora. Pero ahora te estás mirando, más nítida, más tal cual eres, y te estás diciendo «hey chica, te ves increíble»

Torre quemada

Torre quemada

sta brucciando dentro di me e sono posseduta

me estoy riendo volviendo a mi casa, aunque me falten 40 minutos, 40 km o 40 años
estoy teniendo revelaciones en voz baja y todos los aniversarios

octubre mi primera herida

mi primer mes en Italia en una ciudad desierta

mi primer atardecer a las cinco de la tarde

y ahora mi primer otoño con los cinco sentidos y también el sexto: mi intuición.

Estoy intuyendo un fuego, soy el oxígeno de mi hoguera, la vuelta de infinito más dura y larga puede estar terminando. Estoy en un pedestal al que he llegado raspandome las rodillas, rajándome las muñecas.

De todo esto hablaba con dieciséis años, cuando decidí rebautizarme, sin saber que mi nombre sería premonitorio.

Una torre quemada, destruida, no se veían las vigas para volver a construirla. Unas cenizas de las que no hubiera querido hablar nunca. Un fuego interno, completamente apagado.

Había abandonado a la niña, a la adolescente, a la chica. Me había ido directamente a la anciana. Las cartas no parecían decirme nada, las llamadas eran útiles como el agua caliente. Todos intentaban romper mis cadenas y yo las volvía a atar, volvía a reventar mis heridas para crear mis cicatrices permanentes.

Aún no he terminado, ni de luchar ni de quemar. Porque la destrucción y el trauma son mi propia construcción. Sólo puedo salir de aquí quemándome.

Pero ahora me estoy preparando para la batalla. La siguiente, que no será la última. Y tengo un traje nuevo. Llevo mis colores y mis armas. Llevo el oxígeno para hacerme grande. Tengo la banda sonora de mi futuro. Aunque no lo veo, no lo he perdido. Aunque estoy quemada, estoy más y más viva.

Historia de unas mudanzas

Perder los calcetines no es el único problema de una mudanza.

La realidad es siempre más tosca, urgente, visceral y sucia.

Puedes acabar rompiendo los cristales de un mueble o las relaciones, porque pone a prueba la calidad del mobiliario y las relaciones. O puede ser que de todo esto se salga diferente, y uno salga zen, fortalecido, y con los bíceps de un culturista.

El tiempo de las mudanzas se estira como un chicle, pasan cinco semanas y te parece que ni siquiera has llegado a la mitad de lo que tenías que hacer, te planteas el cambio de casa por cámper, piensas en todo lo minimalista que decías que eras, pero no eres capaz de tirar cosas viejas solo porque conservan el olor del pasado.

Y sin embargo, para todo hay un punto final, también para las mudanzas.

Igual que ahora te das cuenta de que es junio, y justo el junio de hace un año entraste en un vórtice del que pensabas no ibas a salir nunca, y ahora te ves en el espejo con todo lo que habías perdido, sin querer volver a ese lugar. Si ese lugar existiera, sería una estación de metro abandonada llena de yonquis a las cinco de la mañana.

Pero en realidad estamos hablando de la mudanza. No de las que haces dentro, saludando con la mano a la Torquemada de hace uno, dos, cinco, o diez años. Llevándolas dentro pero no siendo ellas nunca más.

Hablamos de las mudanzas de cambiar tus bártulos, las vistas de tu balcón, tu balcón. El supermercado y los vecinos del ascensor. Es querer matar a toda tu familia política, especialmente a tu pareja. Es verte poniendo otra dirección a tu documento de residencia. Escribiendo, al lado, con lápìz, «casa» y que no sea algo extraño.

Mirar en los cajones, ver tus nuevos cubiertos. Usmear y pensar en situaciones futuras: Aquí estaré las tardes de lluvia con un libro, aquí pondré todos mis libros y cuadernos.

La mudanza llega cuando tenía que llegar. Para mí y para Stefano.

Para él, como una de las medallas que se pone entrando en su mediana edad, hombre adulto, hombre afirmado, hombre con cosas.

Para mí, como mi casa en mi casa. Como un lugar para no sentirme extraña. Como quien cambia el pelo en las estaciones, la cara através de los años, quien eras y quien vas a ser.

Gli uccelli

Ten cuidado, cuando vayas a hacer una mudanza, cuando vayas a cambiar país, costumbres, horarios, luces del día y la noche y cielos. Ten cuidado y pon atención en la música que esos días de descubrimiento y ansia, de expectación sin expectativas, vas a llevar en tus oídos. Porque después esa canción te devolverá, con un bofetón, a ese momento mágico y meravilloso, donde yo no conocía la tierra que iba a ser parte de mi casa sin remedio (por mucho que me haya obstinado en negarla). Te devolverá, un sábado por la mañana, sin planearlo, a tardes de octubre cálidas como veranos, donde paseabas por calles nuevas desorientada, donde esperabas el sonido del interfono, bajar corriendo las escaleras con el corazón (ya) en la boca, como ibas a llevarlo de ahí en adelante, para jugar con el agua, con las olas, y con alguien que parecía un jeroglífico exótico y estimulante.
Y eran esos los ucelli que yo veía caer en picado mientras caían las tardes más temprano que en otros países, y esperaba la llegada de la noche en medio del mar en calma, aprendiendo a mover mis brazos con simetría y ritmo, aprendiendo a bañarme en el mar de octubre, en un momento en el que Crotone, el tiempo, y mi vida, no tenían un momento futuro, no tenían un mañana, porque no era capaz de saber qué sucedería al día siguiente.
Por eso esta mañana, unas semanas más tarde del día en que la vida que quiero y deseo empezó, y reconociendo que cinco años me han servido para darme cuenta de eso, celebro con orgullo cada paso que he dado y todas las situaciones que me han llevado hasta aquí.
Celebro la casualidad, o el destino. Celebro lo que estaba en mi mano y las circunstancias que no puedo controlar. Celebro el mar, el bosque, el lago, y las calles sin aceras. Celebro mirar para atrás y saber, ahora con seguridad, que no cambiaría ni un segundo de lo que he vivido. Celebro saber que esta es la vida que amo, que quiero, y que cinco años en ella son sólo el principio.
Crotone y Stefano llegaron a la vez para darme este pacto indisoluble de alegrías y penas. Ahora puedo mirar con serenidad las cosas. Y puedo quitarme las gafas con las que veo una parcial versión de la historia. Ahora puedo decir, que de momento, mi vida me ha gustado y me gusta. Y si vamos a elegir otra, será con un regalo del sur bajo el brazo.
Y quizá elegiremos canciones mejores para nuestros inicios y reinicios.

Dirty, noise, ants in the bathroom

Dirty, noise, ants in the bathroom

Esta persona que véis aquí no tiene mucho que ver con la que escribe.

Pero es la misma que la que escribe.

A veces me pregunto cómo voy a ser cuando tenga 35, 45, o 70 años.

Estoy segura de que voy a seguir cambiando, y esto me llena de emoción. Porque quiero vivir para verlo, para ver los cambios que el viento, el sol y la lluvia tienen reservados en forma de arrugas en mi cara, y también esa confianza ciega en que la Irene del medio siglo va a llevar una maleta llena de herramientas, objetos y souvenirs. Llena hasta los topes, con tanto extra de peso en Ryanair. Y va a ser increíble cuando llegue a ese momento. También va a ser increíble el camino.

Por eso la serenidad es importante. Desde esa imagen hasta mi presente han pasado 6 años durísimos con un trabajo personal para conseguirla. Creo que estoy en un buen punto. Al mismo tiempo, me encanta que también la que era en el pasado me enseñe algo.

En ese momento, pongámonos en el 2013. Padova. En realidad, Malta. Dirty, noise, ants in the bathroom. Los comentarios de booking como definición de nuestra propia vida. Y era realmente así, algo caótico y colorido lleno de reflejos de mar en la piel más blanca que he tenido nunca (todo gracias a la Pianura Padana y su clima de nieve hasta Mayo). Mi imagen, mi concepción sobre la vida que llevaba, aquí alcanzó su punto más alto. Tenía tanta confianza en mi presente y mi futuro, fue el momento en el que más me dediqué a soñar. Y mis sueños eran mucho más normales que mis aventuras italianas. El surrealismo al que dediqué mi vida me hizo tan fuerte que ahora me pregunto cómo fue capaz de pasar por tantas situaciones sin venirme abajo (nota mental, Irene del presente, ¿te dejaste el optimismo en el norte del país?). Igualmente, esa chica estaba confiada, aunque aún no sabía quien era, tenía seguridad, aunque aún no sabía lo que quería, y soñaba a lo grande, aunque no tenía nada que hubiera hecho por si misma.

En perspectiva, eso es genial. Cojo lo mejor de ella y lo mejor de mí ahora y hago un cóctel explosivo. Aquí entra tambien el Body Positive, mi estrenado brand new pragmatismo, mis ganas de sentirme como ella en ese barco lleno de viento, pero con las condiciones mezcladas de paz interior que ahí me faltaban.

Coger perspectiva, y carrerilla. Esa es la clave. Por eso preparo para mia alumnos las diferencias entre el presente, el indefinido y el futuro. Porque todo vale, Porque todo sirve. Porque es fundamental.

La semilla

Jueves, momento de viajar.

Y con los viajes viene el estrés, la rabia, y el “no eches pa trás el asiento que ya no me entran ni las piernas”.

Y por eso más que nunca me pongo a mirar el mundo desde fuera de mi ventana (a veces me gusta hacerlo pero no demasiado a menudo) para ver cómo es que nos movemos y nos enfadamos mientras vamos en coche, vamos en tren, y sobretodo, sobretodo, mientras vamos en avión.

Entonces no voy a enumerar todo lo dicho en los “No espacios” que escribió alguien como si me hubiera leído el pensamiento respecto a mi odio por los aeropuertos.  Porque las ganas de montar un pollo se multiplican cada vez que paso por uno, y en cualquiera de las veces en los que soy un caja de amazon sin las botas puestas y con todo lo que cabe en mi mochila fuera de ella cada vez que alguien necesita comprobar la seguridad de todos los viajantes.

En lo que me voy a centrar es en una semilla que nunca pensé que se instalaría en mi cerebro. Una semilla que he evitado en todos estos años considerando que algunas de las cosas que he oído en mi casa y durante mi educación eran algo machistas, incluso viniendo de las matriarcas de la familia. Y por eso te acostumbras a ciertos razonamientos, automatizas ciertas frases que escuchas mientras apagas la lucecita que en tu interior se enciende diciendo “micromachismo en el aire, vaya, acabas de decirlo tú también. Vaya, serías capaz de aceptarlo sin muchos problemas.” Eso era así, a pesar de todos los cretinos de mi vida con los que he experimentado la disminución de lo que yo era a nivel emotivo, físico y de carácter, haciendo que mi personalidad tuviera que desarrollarse deprisa y corriendo después de los dieciocho. Eso, a pesar de todo aquello, mi actitud hacia la vida, hacia la consideración de mi vida, era arquetípicamente machista. Porque ¿qué feminista hubiera tragado la píldora de vivir en un sitio que no le pertenece sólo por estar cerca de la persona que ama, considerando su desarrollo social y laboral practicamente muerto desde entonces? ¿O quién hubiera aceptado tres años de ser mantenida por tu pareja, mientras te entrenas en tus facultades de cocina y lavadoras, esperando que el futuro sea algo más prometedor que hasta entonces? Bien. La situación era clara, y yo nadaba como un pez casi cómodo en esa pecera.

Afortunadamente el 2018 trajo consigo un cambio de rasante en todo lo que había establecido y con mucha fatiga había aceptado como permanente. Y afortunadamente fue así, aunque costó casi una depresión. Desperté de un letargo en el que me mecía, enamorada y satisfecha, con un poquito de rabia sana que me hizo cambiar las cosas de una vez por todas. Y eso fue fantástico. Porque la semilla creció y de repente todos mis sospechas fueron infundadas.

Desde que mi parte social y laboral se ha completado en el giro de dos meses dandome un sueldo, un trabajo que me enriquece y una comunidad de gente esparcida por el mundo, interesante, respetuosa, y parecida a mí de algún modo u otro, me siento una persona con una nueva energía. Y siento que la Irene que se había diluído en alguna parte ha vuelto a controlar todas sus piezas, bien enganchadas y conectadas con la mente y el corazón. Y en todo esto mi pareja demostró que la semilla de su cerebro era más grande que la mía. Me lo encontré a mi lado, en la lucha, demostrandome el feminismo que nunca será consciente de poseer. Apoyando mi decisión y motivandome a seguir cuando yo no creía en ella, y durante el resto del tiempo, cocinando, poniendo lavadoras, lavando el baño y tendiendo después de sus 9 horas de trabajo.

Así que todas is decisiones desbocadas, elegidas con el corazón y sin ningun tipo de sentido lógico, llegaban a un equilibro que complementaba todo mi camino con el de otra persona, considerándolo el mismo  sin perder la identidad y la autonomía que me pertenece. Una autonomía que me hace, ahora, sentirme completa, tener tonalidades distintas. Y sentirme fuerte.

 

Todo esto no habría sido posible sin el feminismo. Porque ahora la semilla está creciendo gracias a la comunidad de mujeres que confía en mí y me regala su tiempo y sus experiencias. Mujeres fuertes, que no ven las otras mujeres como el enemigo, la comparación, o el desafío para cazar la presa más codiciada. Que ven el trabajo conjunto como el único modo para mantener nuestra identidad, sin dañarnos. Sin andar a la gresca, con el ojo avizor y los labios fruncidos.

 

Lamentablemente, yo vivo en el culo del mundo. Donde el feminismo vive sólo en mi casa, con Stefano y conmigo que lo construimos. Por eso tantas veces evito salir del mundo que me he creado. Por eso también odio los aeropuertos. Porque se ve de todo. Y no solo en la fila para entrar en el avión siento la mirada de las mujeres, la incógnita y la reprobación cuando ven la ausencia de maquillaje, mis primeras canas sin teñir y mi ropa que no es de marca. El mundo no es cosmopolítca y urbano. La mayoría del mundo es este mundo. Despectivo y deshumano, sobre todo las mujeres entre ellas. He trabajado con mujeres y hombres y en cada trabajo rodeada de chicos me ha ido mejor. De los equipos de mujeres he salido despavorida, alimentando comentarios machistas pero desgraciadamente ciertos como “es imposible trabajar o relacionarse con mujeres”. Y ya está bien. Así siguen las cosas también por culpa nuestra. Porque no pueden poner el haghtag  metoo y seguir mirando por encima del hombro. No puedes sostener las bases de la sociedad calabresa en el hombre paga y la mujer se maquilla (podrían quemarme por decir esto pero creo que después de casi 5 años aquí puedo establecer ideas sabiendo de lo que hablo). La mayoría del mundo necesita aún el feminismo. La mayoría de las mujeres necesitan ser mujeres feministas. Y por eso, después de la negación constante, ahora me estoy educando cada vez que un pensamiento despectivo inunde mi cabeza, cuando la mujer de turno, con tanto de leopardo y bolsa de gucci, me dedique una de sus miradas lastimosas. O la próxima vez que me pidan que me maquille un poco para parecer más femenina. He pasado los últimos dos meses con la depiladora estropeada y os puedo jurar que la comicidad entre mis piernas y las de mi chico ha sido más motivo de risa que de asco. Porque, al fin y al cabo, el pelo es lo que nos hace mujeres adultas, y no niñas. Pero de eso ya hablaremos otro día.

Fuera, el ruido

Creo en nosotros más de lo que creo en mi, aunque tu crees por los dos tantas veces. Creo que la dependencia psicológica tiene que ver con todo esto como el chocolate a la planta del cacao. Y nosotros estamos en esa miscelánea, pura, y amarga. Creo que las cosas últimamente nos han ido (por separado, en nuestras propias circunstancias, nuestra creación de las personas que somos cada uno de los dos cuando no somos nosotros) bastante mal y bastante bien en mucho sentidos. Y por eso cuando todo lo periférico va hacia abajo, cuesta abajo y sin frenos en el cansancio de la vida, del trabajo, de las cincuenta bacterias y virus que decidieron inundar mi cuerpo en los últimos tres meses, ahí estamos nosotros, a veces molestos con la vida y nosotros mismos, a veces aferrados a la esperanza que nos dan nuestros sueños de futuro. Un futuro que ya no soñamos utópico, con las macetas del azféizar de una ventana que nunca nos podremos permitir. Un futuro que ahora soñamos ridimensionado, en el oro de lo que ya tenemos. La luz, el tiempo libre, la tramontana.

Ahora soy un Van Goth con un pitido constante. Me tiene siempre alerta y con las armas en el hombro. Me encuentra exhausta, preguntándome cómo una tercera criatura podría ser añadida a la ecuación mientras lavo los platos. Pensando, no es posible. Soy demasiado egoista para que aquí esté todo. Giro el metro de esquina que separa mi pasillo cocina de tu cara cansada. Y cambio de idea. Creo en tí porque eres y estñas y también porque tú crees en nosotros. Y tienes la palabra lúcida incluso cuando estás a 38 grados de temperatura. Incluso cuando cerramos la verja de la casa y el viento y las dificultades nos aislan en un cuarto en el que muchas veces el aire está viciado. Para eso sirve la tramontana en el oído otítico. Para sufrir. Pero también para no dejarse vencer por el cansancio, para estar aún despierto.

Estamos despiertos. Estamos vivos.

¿Te acuerdas cuando estaba más deprimida de lo que nunca he estado desde que te conozco? Entonces yo no veía el color del mar al que me llevaste, la luz que entraba entre las rocas mientras atardecía. Entonces yo estaba demasiado ofuscada, demasiado encerrada en mis demonios y mis lorzas aunque el verano ya estaba llamando a la puerta. Fue un periodo horrible, y cambió el futuro de un modo alucinante. Ahora esa parte de mi vida es brillante y llena de esperanzas. Así que espero que lo que tenga que venir ahora vaya a ser estrepitoso, y este agujero negro sea sólo otro de esos cambios de rasante que utilizo para impulsarme hasta el cielo. Para ver (aún) más claro de lo que este último año está haciendo conmigo. Estamos. Y estamos tan lúcidos ahora. Cansados, débiles, llenos de gripe. Pero estamos tan seguros que este credo lo recitamos al unísono, entre las sábanas, mientras se recuperan las fuerzas para seguir cansándonos.

 

f